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domenica 2 marzo 2025

Parlare di diritti dei Popoli Indigeni, oggi, è ancora un tabù. Perché?

 

“Essi sono il classico elefante in una stanza”. Intervista con la attivista Raffaella Milandri

 

Articolo di Giovanni Rossi

 

In questa epoca di globalizzazione galoppante, la diversità culturale, espressa nelle usanze, nel linguaggio, nella musica e altri aspetti tradizionali diventa più che mai un prezioso patrimonio dell’umanità. Ma quello dei Popoli Indigeni è un argomento ancora poco discusso e spesso ignorato. Ne parliamo in un’intervista con Raffaella Milandri, giornalista, scrittrice e antropologa, fondatrice della Mauna Kea Edizioni, che si dedica da vent’anni alla difesa dei Popoli Indigeni ed è studiosa in particolare dei Nativi Americani. Non solo: nel 2010 è stata adottata dalla famiglia Black Eagle della Crow Nation, quindi, oltre a essere un’esperta e appassionata, è a pieno titolo un membro della comunità dei Nativi Americani. Esordisce così:

«I Popoli Indigeni, secondo gli ultimi dati della World Bank, sono 476 milioni di persone nel mondo. Sono una presenza che è il classico “elefante nella stanza”, elephant in the room: una verità che, per quanto ovvia e appariscente, viene ignorata o minimizzata. Un problema molto noto ma di cui nessuno vuole discutere».

Popoli Indigeni. Foto di Raffaella Milandri

 

Cosa ti ha colpito maggiormente dei Popoli Indigeni?

 

«Confesso la molla per conoscerli: sin da bambina, sognavo di incontrare i Navajo di cui leggevo nel mitico Tex della Bonelli. Quando li ho visitati la prima volta, a Window Rock, sono rimasta straordinariamente colpita dalla loro “diversità” in termini di valori e di approccio alla vita. Molto lontani dal pragmatismo occidentale, da quel nostro inquadramento basato sull’avere e non sull’essere, su un’identità incentrata sul lavoro e sul raggiungimento di obiettivi spesso stereotipati e sopravvalutati. Dopo i Navajo, ho incontrato altri popoli nativi americani, e poi i Bakà del Camerun, i San del Kalahari, i Rabari del Gujarat, i Bonda dell’Orissa, il popolo tibetano, gli aborigeni australiani e tanti altri. Nei Popoli Indigeni ho ritrovato quella preziosa “diversità” culturale e sociale, diversa da noi, ma con un’estrema assonanza tra di loro. Questo mi ha spinto a viaggiare, studiare, approfondire. E a vedere il mondo in modo differente. Negli ultimi anni mi sono poi concentrata sui Nativi Americani, che hanno nella loro storia e resistenza molto da insegnare, soprattutto come specchio della nostra civiltà occidentale. Oggi non abbiamo a che fare con i Popoli Indigeni originari, ma con quelli che convivono al nostro fianco, subendone le conseguenze. Dapprima vi è stato il colonialismo, cui è seguito il neocolonialismo. Oggi, per molti popoli la grande sfida è convivere con i nostri sistemi invasivi – dall’estrazione di combustibili fossili, alla deforestazione, alle coltivazioni intensive, alle espropriazioni di territori, alla globalizzazione, per citarne solo alcuni – e sopravvivere, mantenendo la propria cultura e identità».

 

Cosa hanno in comune i Popoli Indigeni?  

 

«Cercherò di essere breve e di attenermi ad alcuni concetti essenziali. Innanzitutto “indigeni” vuol dire che sono pressoché da sempre presenti nello stesso territorio, adattandosi, ottimizzando l’utilizzo delle risorse ivi presenti e identificandosi nell’ambiente stesso, in uno stile di vita quasi simbiotico. Le comunità indigene in buona parte sono definite come “cacciatori-raccoglitori”, comunità che non praticano l’agricoltura, ma questo non è esatto, basti pensare alle civiltà precolombiane e alle loro coltivazioni. Nei popoli nativi la caratteristica predominante è il rispetto, e quindi il “non-sfruttamento” esasperato delle risorse del territorio, in cui noi occidentali siamo maestri. Con la conseguenza, confrontati alla nostra società, di alcuni importanti vantaggi: niente sovrappopolazione; conservazione di ecosistemi; abilità di sopravvivenza senza la schiavitù tecnologica. Mi ha colpito di questi Popoli l’attaccamento all’identità e tradizioni; la tenacia e la determinazione con cui cercano di salvaguardare la loro cultura e trasmetterla alle giovani generazioni — oggi così esposte al bombardamento mediatico del mondo occidentale e all’omologazione culturale della globalizzazione. La cosa peggiore che hanno in comune è una storia di violenza, abusi e soprusi da parte dei “conquistatori”, e il continuo assoggettamento forzato alla cultura dominante. Sanno come sopravvivere nel deserto, a elevate altitudini, nella foresta tropicale e nei ghiacci, ma molte comunità sono già state completamente cancellate dall’arrivo degli Europei».

 

 

Perché sui media si parla così poco di Popoli Indigeni e dei loro diritti?

 

«Innanzitutto qui bisogna risalire al peccato originale e citare la storia e gli inizi: il colonialismo europeo, con l’appoggio della Chiesa di Roma, alla conquista delle “terre di nessuno”, terrae nullius, sancito e “santificato” con bolle papali come la Bolla Inter Caetera e altre. Le potenze del vecchio continente sguinzagliarono navi e “conquistatori” in tutti i continenti, con la scusa di cristianizzare i popoli selvaggi ma, in realtà, alla ricerca di risorse, territori e ricchezze di cui appropriarsi. Bartolomé de Las Casas, un vescovo cattolico spagnolo, si schierò dalla parte dei Nativi Americani e riportò, nelle sue cronache del Cinquecento, una ferocia inusitata contro gli indigeni in questa “missione” degli Europei. La geopolitica mondiale attuale è stata definita allora, grazie in primis alle bolle papali di cui molte associazioni native hanno chiesto l’abolizione. Parlare di diritti dei Popoli Indigeni va a minacciare gli interessi di molti Paesi europei e delle loro “propaggini” nate dal colonialismo, immensi territori come, ad esempio, Canada, Stati Uniti e Australia. Pur se negli ultimi decenni se ne parla più apertamente, la estromissione dei Popoli Indigeni dai libri di storia, di diritto e di sovranità territoriale è un chiaro caso di censura e controllo politico, ideologico e morale. Riconoscere le proprie colpe, sdoganare i diritti originari di questi Popoli, indurrebbe all’enorme rischio di dover ridisegnare completamente la mappa geopolitica mondiale. Va da sé che i media stessi ne parlino con il contagocce, per non toccare un punto dolente, estremamente delicato per molti Governi. Il cosiddetto mondo occidentale soffre di un terribile etnocentrismo, motivato da un lato da una sindrome di presunta superiorità, dall’altro da una continuata appropriazione indebita di territori».

 

Negli ultimi anni abbiamo assistito a scuse epocali verso i Nativi del Canada e degli Stati Uniti, da parte di Papa Francesco e poi di Biden…

 

«Da parte di entrambi, si è trattato di scuse per il sistema delle scuole residenziali, che è stato imposto dai Governi e gestito in primis dalla Chiesa cattolica, e che ha duramente colpito generazioni di Nativi con l’assimilazione forzata e un tentativo violento di cancellare la loro cultura. I giovani indigeni di Canada e Stati Uniti sono stati costretti, dalla fine dell’Ottocento fino a quasi venti anni fa, a lasciare le proprie famiglie e comunità, e gli è stato proibito di usare i loro nomi, parlare le loro lingue, praticare la loro religione, oltre a subire in molti casi documentati sevizie gravissime. Ne parlo dettagliatamente nella mia opera “ Le scuole residenziali indiane. Le tombe senza nome e le scuse di Papa Francesco”. In questi casi, le scuse sono state funzionali al potere di chi le porge, e non possono essere un mero esercizio statale di “colpa performativa”. Come hanno scritto Mark Gibney ed Erik Roxstrom in The Status of State Apologies: “Lo Stato potente non solo decide se e quando saranno fatte le scuse (o se saranno fornite delle ‘quasi scuse’), ma anche il modo in cui tutto ciò sarà eseguito”. In sostanza, le scuse non bastano, anzi possono costituire in sé una forma di violenza sulle vittime. L’aspetto positivo delle scuse è che, in particolare nel caso di quelle di Papa Francesco, l’impatto mediatico a livello mondiale è stato un ottimo strumento di divulgazione di verità che sono state taciute a lungo».

 

Raffaella Milandri nel Kalahari

Questi Popoli sono protetti dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni?

 

«Questo è un punto molto spinoso. La Dichiarazione dei diritti dei Popoli Indigeni, UNDRIP, è stata adottata in tempi recenti dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, durante la sua 62ª sessione in New York, il 13 settembre 2007. Votarono a favore 143 stati, 4 votarono contro (non a caso, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti, nati come colonie dell'Impero britannico e a maggioranza di popolazione non indigena); 11 stati si astennero (Azerbaijan, Bangladesh, Bhutan, Burundi, Colombia, Georgia, Kenya, Nigeria, Federazione Russa, Samoa e Ucraina) e 34 non furono presenti. In seguito i 4 stati a sfavore cambiarono voto, pur se molte critiche e opposizioni alla Dichiarazioni vanno avanti tuttora. Tra i diritti collettivi che la Dichiarazione proclama, a favore delle popolazioni autoctone, vi è quello all’autodeterminazione, a non essere espulsi dai loro territori e a godere delle risorse naturali situate su di esse. Oggi la Dichiarazione è lo strumento internazionale più completo sui diritti dei Popoli Indigeni. Essa stabilisce un quadro universale di standard minimi per la sopravvivenza, la dignità e il benessere dei Popoli Indigeni del mondo. Ma purtroppo non è uno strumento giuridicamente vincolante ai sensi del diritto internazionale: stabilisce sono uno standard che “dovrebbe” essere seguito. Come dicevamo prima: riconoscere i diritti dei Popoli Indigeni ai loro territori costituirebbe una “spesa” troppo ingente per molti Stati.

Un altro strumento importante è l’UN Genocide Convention, la Convenzione delle Nazioni Unite per la Prevenzione e la Punizione del Crimini di Genocidio, redatta nel 1948: è un trattato internazionale che mette al bando il genocidio e obbliga gli Stati parte a implementare l'applicazione di tale divieto. Lo hanno sottoscritto finora 154 stati e 40 non ancora; tra gli stati che non lo hanno ancora sottoscritto troviamo alcuni nella stessa “lista nera” dell’UNDRIP come il Bhutan, il Kenya e Samoa. L’ultima sottoscrizione alla Convenzione è quella della Repubblica Dominicana nel 2022. E’ interessante notare che questa Convenzione fu approvata negli Stati Uniti solo nel 1988 da Ronald Reagan, nonostante le forti opposizioni. Si considerava a rischio la sovranità statunitense. L’accusa di genocidio non è un pianto romantico di liberali e buonisti. Si adatta perfettamente alla situazione vissuta dai Nativi Americani, ma anche ad altri Popoli Indigeni. Esiste poi anche la ILO 169, una convenzione dell’International Labour Organisation, molto importante, il cui obiettivo centrale è proteggere i diritti umani dei Popoli Indigeni e riconoscere “le aspirazioni di questi popoli a esercitare il controllo sulle proprie istituzioni, sui propri modi di vita e sullo sviluppo economico e a mantenere e sviluppare le proprie identità, lingue e religioni, nel quadro degli Stati in cui vivono”. Qui le adesioni sono state a oggi solo di ventiquattro Stati, di cui la ultima la Germania, nel 2021. Una convenzione ignorata dalla maggior parte dei Governi. Organizzai una petizione per l’adesione dell’Italia alla ILO 169 circa dieci anni fa, ma essa, con allegata raccolta firme, inviata al Governo e al Papa, non ottenne alcuna risposta».

Link al testo integrale dell’UNDRIP: https://www.un.org/esa/socdev/unpfii/documents/DRIPS_it.pdf

Link al testo dell’UN Genocide Convention:

https://www.un.org/en/genocideprevention/genocide-convention.shtml

Link alla lista di sottoscrizioni della ILO 169:

https://normlex.ilo.org/dyn/nrmlx_en/f?p=NORMLEXPUB:11300:0::NO::P11300_INSTRUMENT_ID:312314

 

Raffaella Milandri a Crow Agency, Montana

Qual è la situazione che hai visto di persona dei Popoli Indigeni e dei Nativi Americani oggi?

 

«Devo di nuovo sottolineare che le problematiche dei Popoli Indigeni sono ignorate dalla maggior parte della popolazione mondiale, proprio per i motivi che dicevo prima: da un lato i media ne parlano assai poco, dall’altro i Governi che sono più coinvolti temono grandemente di perdere terre e diritti su ciò che è stato sottratto ai Popoli Indigeni nei secoli scorsi e che viene sottratto anche oggi. In alcuni Paesi, come ad esempio in Africa e in Asia, molte situazioni sono drammatiche e ho potuto assistere a delle vere e proprie tragedie. I miei appelli sono rimasti perlopiù inascoltati. I Nativi Americani, invece, oggi sono negli Stati Uniti oltre nove milioni e in Canada oltre tre milioni: sono molto attivi, lottano per i propri diritti, hanno creato associazioni e università native, e pur se la loro posizione ha ancora tante problematiche da risolvere, hanno ottenuto leggi che li aiutano a proteggere le loro tradizioni, religioni e linguaggi. Molta la strada da fare, ma sono davvero un grande esempio di resistenza. Sono in contatto con diversi attivisti nativi, e la unione d’intenti, la determinazione e la collaborazione tra i consigli tribali e le comunità sono migliori che in tante comunità occidentali».

 

Ultimissima domanda: nei tuoi viaggi per ricerche sui diritti dei Popoli Indigeni hai corso dei rischi?

 

 «Assolutamente sì. Purtroppo in alcuni Paesi come il Camerun, il Botswana, l’India e altri mi sono trovata a indagare su violazione dei diritti umani dei Popoli Indigeni a carico di multinazionali con interessi di sfruttamento minerario e forestale. In quei casi, viaggiando in incognito e senza coperture mediatiche, in luoghi ai confini del mondo, si rischia di scomparire – o meglio di essere fatti scomparire – in un attimo. Ho avuto incontri con attivisti indigeni in molte occasioni e in tutti i continenti. Ricorderò sempre quando, dopo aver filmato una intervista con un leader tribale dell’Orissa, minacciato di morte, tornai a casa e pubblicai un suo appello alla comunità internazionale. Dopo pochissimi giorni fu arrestato. Io ero in Italia sana e salva,mentre lui si trovava in pericolo. Molti suoi compagni attivisti erano già stati “eliminati”. Ho corso molti pericoli, ma quando si agisce per una causa in cui si crede, nulla deve rimanere intentato. Si tratta di vite umane di persone che non appartengono al mondo dei compromessi».

 

domenica 18 agosto 2024

Chi è Raffaella Milandri (Biografia e bibliografia)


Raffaella Milandri


Non è semplice descrivere Raffaella Milandri e le sue attività: è un personaggio poliedrico e improntato ad una schiettezza e a una chiarezza di intenti non comuni. Con i suoi oltre dieci libri pubblicati in tredici anni, i suoi viaggi in solitaria in ogni angolo di mondo, le sue foto che sembrano voler catturare l’anima dei soggetti, spesso membri di tribù indigene poco conosciute, e i suoi scritti in cui le sue parole dipingono popoli, è una donna che innesca naturalmente la curiosità di chi ha una ampia apertura mentale. Ha rischiato molte volte la vita, anche a causa delle sue inchieste per i diritti umani, e dice: “Viaggiare non vuol dire visitare luoghi, ma percepire l’animo dei popoli”.

Biografia

Scrittrice, giornalista, editore e fotografa, Raffaella Milandri, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è studiosa dei Popoli Indigeni e in particolare dei Nativi Americani e laureata in Antropologia. È membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e membro adottivo della tribù Crow in Montana. Fondatrice del Gruppo Editoriale Mauna. Presidente della associazione Omnibus Omnes Onlus, patrocinata dalla UNRIC Italia (ONU Italia). Attualmente è una dei massimi esperti italiani sui Nativi Americani, storia e attualità. Si sta dedicando alla opera di recupero di opere di autori nativi americani, traducendo e curando diversi libri.

Cura una serie di video tematici su youtube, “Nativi Americani ieri e oggi”  (qui link alla playlist), una rubrica radiofonica su Radio Talpa, “Nativi Americani ieri e oggi”, dedicata anche alla musica nativa americana (qui link alla playlist )  e una rubrica giornalistica, “Nativi”, su L’Antidiplomatico (qui link alla lista di articoli), oltre ad aver curato articoli per Focus Storia, Far West Gazette e, in passato, per il Corriere della Sera.

Come viaggiatrice solitaria è stata accolta da tribù nei più remoti angoli di mondo. Ha dichiarato: “Sono molto fiera di essere membro adottivo della famiglia Black Eagle dei Crow, tribù di Nativi Americani del Montana. E altrettanto fiera del mio nome in lingua originale, Baa Kuuxsheesh, che ha segnato una nuova tappa della mia vita e che significa ‘Aiuta gli altri’. Vorrei ricordarlo e dirlo sempre ad alta voce. La fratellanza è sacra. Un grande onore anche la adozione presso il popolo indigeno dei San, Boscimani del Kalahari. Il mio nome per loro è Nxuwa, che deriva da un tubero che il popolo boscimane porta con sé nel deserto per combattere la sete, la fame e la stanchezza”. 

Raffaella Milandri si dedica alla scrittura, alla fotografia e ai reportage intesi come strumento di sensibilizzazione e divulgazione sul tema dei diritti umani e delle problematiche sociali, attraverso campagne di informazione, appelli, petizioni e conferenze. Varie le partecipazioni televisive e radiofoniche, numerosi gli articoli sui suoi viaggi, su quotidiani e riviste. Si impegna in campagne informative sul turismo responsabile nei Paesi in via di sviluppo. Tra le mete dei suoi viaggi, in solitaria e spesso in fuoristrada, ricordiamo la Papua Nuova Guinea, l’Alaska, il deserto del Kalahari, il Tibet, il Kimberly in Australia. Tra i Popoli Indigeni oggetto delle sue campagne per i diritti umani, i Nativi Americani, i Pigmei Bakà, i Boscimani, gli Adivasi dell’Orissa. Ha affermato: “Avverto una incredibile urgenza nel mio viaggiare e divulgare, per documentare le discriminazioni dei diritti umani. La globalizzazione avanza a passi rapidi, ma spesso non porta con sé il Progresso positivo, anzi accelera il processo di estinzione di popoli che da decine di migliaia di anni vivono nelle stesse terre, legati alle loro tradizioni e culture, uniche e irripetibili”.

Libri pubblicati  e tradotti (con link nel titolo alla scheda libro completa)

tutti disponibili sia in edizione cartacea sia ebook.

PUBBLICAZIONI

Liberi di non Comprare. Un invito alla Rivoluzione, seconda edizione 2019.

Gli Ultimi Guerrieri. Viaggio nelle Riserve Indiane, prima edizione 2019.

In Alaska. Il Paese degli Uomini Liberi, seconda edizione 2019.

In India. Cronache per Veri Viaggiatori, seconda edizione 2019.

Lessico Lakota. Storia, Spiritualità e Dizionario Italiano-Lakota, (con M. Blasini), prima edizione 2019.

La mia Tribù. Storie autentiche di Indiani d’America, seconda edizione 2020.

Lessico Cherokee. Storia, Spiritualità e Dizionario Italiano-Cherokee, (con M. Blasini), prima edizione 2021.

Nativi Americani. Guida alle Tribù e alle Riserve Indiane degli Stati Uniti, prima edizione 2021.

Io e i Pigmei. Cronache di una Donna nella Foresta, seconda edizione 2022.

Le scuole residenziali indiane. Le tombe senza nome e le scuse di Papa Francesco, prima edizione 2023.

TRADUZIONI, CON INTRODUZIONE E NOTE

Racconti di Nativi Americani: Old Indian Legends di Zitkala-Sa, traduzione e note, (con T. Totò),prima edizione 2021.

Racconti di Nativi Americani: Plenty Coups. Capo dei Crow di Frank B. Linderman, traduzione e note, prima edizione 2022.  

Racconti di Nativi Americani: Il mio popolo. I Sioux di Luther Standing Bear, traduzione e note, prima edizione 2022.   

Racconti di Nativi Americani: Infanzia indiana di Charles Eastman, traduzione e note, prima edizione 2023.   

Racconti di Nativi Americani: Eroi e grandi capi indiani di Charles Eastman, traduzione e note, prima edizione 2023.   

Racconti di Nativi Americani: La Terra dell’Aquila Maculata di Luther Standing Bear, prima edizione 2023.

Racconti di Nativi Americani. I cinque di mezzo. Ragazzi indiani a scuola di Francis La Flesche, traduzione e note, prima edizione 2024.

Gli Indiani d’America e la loro musica di Frances Densmore, traduzione e note, prima edizione 2024. 

domenica 14 agosto 2016

Sei un fotografo responsabile?

di Raffaella Milandri

La qualità della vita, oggi, si misura in base alle occasioni da fotografare con il cellulare e postare su Facebook? Con il cellulare, chiunque è sempre pronto a scattare foto e fare filmati, anche “a tradimento” e di nascosto, in cerca di notorietà, di tanti “mi piace” su facebook. Ovviamente, mi duole dire, il gatto di casa, il piatto di pastasciutta, la zia Clara che si cimenta con il karaoke o la cugina Clementina in mutande sono interessanti e simpatici, ma la “Fotografia” con la F maiuscola è un’altra cosa, nella maggior parte dei casi.
Se una gita fuori porta basta per scatenare il “fotografo” latente in ognuno, invece un viaggio in Italia o all’estero, sia come viaggiatore indipendente che in gruppo turistico organizzato, trasforma molti di noi in pirati all’arrembaggio di una nave carica di… immagini da catturare con il cellulare o, meglio ancora, con l’obiettivo fotografico. Le situazioni più impensate, colorate, folkloristiche e straordinarie spingono all’azzardo estremo e un selfie può portare addirittura alla morte; lo documenta ad esempio questo articolo http://www.lospillo.net/10-incredibili-storie-di-persone-morte-per-un-selfie/ . Ognuno è alla ricerca dello “scatto memorabile” di se stesso o del prossimo, o del panorama, o di un animale selvaggio.
In qualità di fotografa sono a chiedere provocatoriamente: scattare foto può infrangere i diritti umani?  ...segue...
L'articolo completo è disponibile a questo link http://www.ilmascalzone.it/2016/08/sei-un-fotografo-responsabile/

Raffaella Milandri

domenica 8 aprile 2012

"Io e i Pigmei": successo di pubblico e di critica per un libro senza censure




E' la cronaca del viaggio di una donna sola nella foresta, tra i Pigmei. Una eroina dei tempi moderni, avventuriera in nome dei diritti umani. "Un viaggio che comincia – descrive la giornalista Adelina Zarlenga – “dove finiscono le nostre certezze”. Un libro avvincente, ricco di testimonianze e di foto, in cui è racchiusa l’essenza della scrittrice: Raffaella Milandri, una donna tenace, capace di arrivare in capo al mondo pur di difendere i popoli più deboli. "

Con estrema trasparenza e semplicità, Raffaella Milandri, giornalista, viaggiatrice solitaria, fotografa e attivista per i diritti umani dei popoli indigeni, svela nel suo libro la drammatica situazione dei Pigmei. E i disagi fisici e psicologici di un viaggio nel cuore dell'Africa "vera". Dice l'autrice: "Mi sono trovata di fronte ad una realtà cruda e drammatica: nessuno protegge il Popolo della Foresta, che è vittima insieme alla Foresta stessa. I popoli indigeni assurgono al ruolo di agnelli sacrificali. I Pigmei , oggetto di una sistema­tica discriminazione da centinaia di anni, ora rischiano di scomparire. Per sempre. " Scrive a tal proposito Raja James Sheshardi, della American University: “I Pigmei sono sfrattati e poi sfruttati; da molti Stati africa­ni non sono considerati cittadini e viene rifiutata loro la carta d’iden­tità, insieme a terra di proprietà, assistenza sanitaria ed educazio­ne scolastica. Forzati da Governi e multinazionale del legname a lasciare le foreste, loro terre ance­strali da sempre, hanno un destino di emarginazione, impoverimento e abusi" Nella recensione del libro "Io e i Pigmei" , su La Stampa, scrive Irene Cabiati : "Il libro riesce ad inquadrare la situazione di un Paese, il Camerun, con 280 gruppi etnolinguistici spesso succubi della stregoneria, allegri e fieri della nazionale di football , inevitabilmente destinati a perdere la ricchezza delle foreste: sulle banconote da mille franchi qualche funzionario creativo ha pensato bene di far stampare la macchina che taglia il legname. Come segno di progresso naturalmente.  " Si legge in una recensione su Q Libri: "Ma i Pigmei ? Chi tutela i Pigmei ? La loro estinzione in quanto semplici uomini e' autorizzata ? Strano mondo il nostro."
Il libro "Io e i Pigmei. Cronache di una donna nella foresta", di Raffaella Milandri, è edito da Mauna Kea Edizioni. La viaggiatrice, che ha visitato aborigeni australiani, boscimani, pigmei, adivasi e altri popoli, ha annunciato su Rai Due http://www.youtube.com/watch?v=UftvTztqXFA il prossimo viaggio che la porterà oltre il circolo Polare Artico, tra i popoli Inuit, a vivere con gli equipaggi della caccia alle balene, e a visitare la riserva degli indiani Crow, in Montana, dove la Milandri è stata adottata come sorella dal Presidente della Nazione Crow, Cedric Black Eagle. "Io sono la sorella adottiva, il fratello adottivo di Cedric invece è il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. " Condurrà una ricerca su storia e usanze dei Crow, nonchè sulla storia di Custer e del Little Big Horn dal loro punto di vista.  

domenica 20 novembre 2011

Avventuriera sui tacchi a spillo. Su Facebook

Alcuni giornali definiscono Raffaella Milandri una "avventuriera", una incredibile figura romantica di altri tempi . Gli amici la hanno soprannominata "Raffa Jones": è una viaggiatrice solitaria che parte alla esplorazione di alcuni remoti angoli di mondo, in fuoristrada. Armata di telecamera e macchina fotografica, si reca in riserve e villaggi di pigmei, aborigeni, indiani d'America, boscimani e cerca la verità sulle attuali condizioni di questi popoli, pronta a documentare e denunciare le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani . Spiega la Milandri "I popoli indigeni spesso si trovano sulla traiettoria delle speculazioni di Governi e multinazionali, che ambiscono alle ultime fette di paradiso terrestre ricche di risorse naturali." Dedichiamo una breve intervista a questa donna intraprendente. -Come è la viaggiatrice solitaria durante i suoi viaggi?" "Ad ogni partenza mi spoglio delle mie impalcature mentali ed esteriori da occidentale, e indosso dei panni estremamente comodi e spartani. La dimensione della valigia è inversamente proporzionale al concetto di libertà. Mi affido al mio 'quinto senso e mezzo', ovvero al mio istinto, e mi muovo senza programmi, pronta a cambiare rotta in base alle esigenze. " -E come è quando è a casa? "A casa ? Sono spesso vittima dei tacchi alti e dei tailleur. In lotta continua con il tempo, affaccendata come solo noi occidentali sappiamo fare." -Ha incontrato pericoli nei suoi viaggi? Raffaella Milandri lancia uno sguardo al cielo.
" Ogni volta può esserci l'imprevisto, come un guasto alla macchina in mezzo al nulla. Ma il pericolo più grande nasce quando tocco gli interessi dei potenti. Spesso mi trovo a raccogliere denunce molto scottanti, e in certe aree remote farmi scomparire sarebbe una soluzione molto facile. Ma la mia arma migliore è tenere un profilo basso: spesso faccio la finta tonta o la turista idiota" -E ha mai avuto molestie di tipo sessuale? "Riesco quasi sempre a prevenire queste situazioni.Ma certo, può capitare" -Raffaella, Lei viaggia con qualche organizzazione o associazione?". "No, io mi muovo da sola e spesso in incognito. Poi, quando torno in Italia, organizzo convegni e conferenze per divulgare il materiale raccolto, grazie ad Associazioni o a Assessorati alla Cultura" -E' vero che i Suoi viaggi si possono seguire in diretta su Facebook? "Sì, metto online foto e filmati, ho molte persone che mi seguono e mi sostengono nei momenti bui" -Quali angolo di mondo Le sono rimasti nel cuore? "Tutti, luoghi e persone. Il Giappone, l'Orissa, il Camerun, il Botswana, l'Australia , il Tibet....Forse l'Alaska ha un posto speciale: l'ultima frontiera" -La mèta del prossimo viaggio? "Ancora da confermare.  

lunedì 25 aprile 2011

I miei amici Pigmei non sono su Facebook -di Raffaella Milandri ©



I popoli indigeni non sono un argomento di attualità.Sono anacronistici.
Non vivono all'insegna del consumismo, sono immuni al "Progresso", non producono rifiuti tossici, non risentono del caro-benzina e dell'inflazione.
Non emigrano: sono, appunto, indigeni, e quindi legati alle loro terre ancestrali da sempre.
Pur se oggetti di soprusi inimmaginabili, non chiedono visti e permessi di soggiorno in altri Paesi.

I miei amici Pigmei non sono su Facebook: non sanno nemmeno cosa è un computer.

Ben 300 milioni di persone nel mondo appartengono a popoli indigeni: Pigmei, Boscimani, Adivasi, Aborigeni australiani, Indios, Maori, Indiani d'America.
E tanti altri popoli dai nomi semi-sconosciuti, che insieme alle loro culture, tradizioni, linguaggi, sono un patrimonio unico per la storia dell'Umanità.
Come dinosauri umani, molte etnie sono a rischio di estinzione. Senza tutela e protezione.
Anzi, sono oggetto di attacchi mirati nel nome del vangelo Denaro; un vangelo che predica la legge del più forte, in terre dimenticate fino a quando si scoprono risorse preziose e intoccate: petrolio, foreste, diamanti, oro. E' incredibile come in tutti gli ultimi paradisi terrestri arrivati ai giorni nostri coesistano risorse naturali e popoli indigeni.
Eppure lo stile di vita dei popoli indigeni, a contatto con la natura, ha fatto sì che, nelle loro terre, non si siano estinti come altrove animali e piante. Guardiani della natura. Ambientalisti , ecologisti perfetti. Poichè sempre vale il detto "homo homini lupus" sono proprio altri uomini che distruggono e mettono in pericolo l'esistenza di queste razze umane, di queste etnie. E molti popoli indigeni sono a rischio di estinzione.

In alcuni Paesi, come in Camerun, i popoli indigeni come i Pigmei non sono nemmeno censiti: sono esseri umani che non esistono. Privati delle loro terre, dei diritti umani più elementari, della propria dignità e spirito semplice e libero. Non esiste paese dove non vi sia discriminazione. Le leggi internazionali adeguate non esistono o, come nel caso del Forest Right Act in India, sono fatte per essere violate. Il diritto alla propria terra, alla propria religione, alla propria lingua , al proprio nome e alla propria esistenza è stato violato prima ed è violato ORA. "I nostri nomi originali sono stati cambiati, storpiati e poi cancellati nell'ultimo secolo. Ed ora stiamo lottando per ricomprare la nostra stessa terra, a prezzi salatissimi” mi racconta Marie della tribù dei Salish, negli Stati Uniti.

Non esiste altro posto dove i popoli indigeni vogliano nascere, vivere e morire: la terra dei padri.
"Datemi un carro, un asino: voglio tornare a casa" dice una donna boscimane durante una mia intervista in Botswana. Non desidera altro: deportata dal deserto, strappata da " casa", a causa del ritrovamento di un ricco giacimento di diamanti, non vuole soldi o una casa o un lavoro: vuole tornare a casa.

"La nostra vita è molto peggiore di quella dei nostri padri. Fuori dalla foresta non sappiamo come vivere. Siamo vittime di soprusi e violenze" mi dice una donna pigmea in Camerun.

"Dopo averci arrestato e torturato, ci hanno detto : adesso toglietevi di mezzo o spariamo su tutti."
racconta un adivasi dell'Orissa, dove è in atto una lotta spietata di una multinazionale per un ricco giacimento di bauxite, che causa deportazioni di interi villaggi (in campi di "riabilitazione", come li chiamano) nonchè un terribile inquinamento dalle conseguenze mortali su flora, fauna e esseri umani.

Preziosissimo l'esempio delle riserve indiane, negli Stati Uniti: nate per ghettizzare ed emarginare, hanno funzionato invece come incredibile "collante" per le tribù dei nativi americani, che non si sono disperse ai quattro venti. Ora in molte riserve si studia il linguaggio originale, si recuperano tradizioni e cultura, e addirittura si registra un incremento della popolazione.

Le testimonianze che raccolgo sono un pesante fardello che porto con me, per condividerlo sotto forma di foto e filmati -in preziosa lingua originale- in conferenze-reportage che sono un appello umanitario ed un importante documento. Perchè vado in Paesi lontani, a rimestare nel fango, a testa bassa? Per poter girare a testa alta in nome di un allarme da lanciare. "Solo l'informazione può salvarci" questo è il messaggio semplice e incisivo di Kumti Majhi, un leader tribale dell'Orissa , contenuto in un appello che ho diffuso su sua esplicita richiesta. All'interno della conferenza-reportage "Scomode Verità" , itinerante in diverse città italiane.

Oggi si è tutti adirati e pronti a far la voce grossa per ripulire la propria fetta di mondo. Ma globalizzazione, attenzione, vuol dire che la nostra fetta di mondo non è più limitata al quartiere, alla città, al Paese. Ciò che accade in Giappone arriva a toccarci in un attimo. I mercati finanziari sono soggetti all'effetto domino immediato. Il mondo è di tutti.
La cultura dei popoli indigeni è un tesoro che appartiene a tutti e va salvaguardato prima che scompaia. Dice Gyani, donna della tribù dei Kusunda in Nepal: "sono l'ultima rimasta, dopo di me nessuno parlerà più la mia lingua."



Scrittrice e giornalista, Raffaella Milandri, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è studiosa in particolare dei Nativi Americani e laureata in Antropologia. È membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Presidente della associazione Omnibus Omnes OdV, patrocinata dalla UNRIC Italia (ONU Italia). Titolare alla Europrinters Consulting e Direttore editoriale al Gruppo Editoriale Mauna. Ha pubblicato finora oltre dieci libri sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. La Milandri si dedica alla scrittura, alla fotografia e ai reportage, intesi come strumento di sensibilizzazione e  divulgazione sul tema dei diritti umani  e delle problematiche sociali, attraverso campagne di informazione, appelli,  petizioni e conferenze, e diffondendo libri e interviste.  Attualmente sta conducendo un programma su Radio Talpa intitolato “Nativi Americani ieri e oggi” e collaborando con quotidiani e riviste. 

 

PUBBLICAZIONI

-Liberi di non Comprare. Un invito alla Rivoluzione, seconda edizione 2019.

-Gli Ultimi Guerrieri. Viaggio nelle Riserve Indiane, prima edizione 2019.

-In Alaska. Il Paese degli Uomini Liberi, seconda edizione 2019.

-In India. Cronache per Veri Viaggiatori, seconda edizione 2019.

-Lessico Lakota. Storia, Spiritualità e Dizionario Italiano-Lakota, prima edizione 2019.

-La mia Tribù. Storie autentiche di Indiani d’America, seconda edizione 2020.

-Lessico Cherokee. Storia, Spiritualità e Dizionario Italiano-Cherokee, prima edizione 2021.

-Nativi Americani. Guida alle Tribù e alle Riserve Indiane degli Stati Uniti, prima edizione 2021.

-Io e i Pigmei. Cronache di una Donna nella Foresta, seconda edizione 2022.

-Le scuole residenziali indiane. Le tombe senza nome e le scuse di Papa Francesco, prima edizione 2023.

 

TRADUZIONE, INTRODUZIONE E NOTE A CURA DI

-Racconti di Nativi Americani: Old Indian Legends di Zitkala-Sa, traduzione e note, prima edizione 2021.

-Racconti di Nativi Americani: Plenty Coups. Capo dei Crow di Frank B. Linderman, traduzione e note, prima edizione 2022. 

-Racconti di Nativi Americani: Il mio popolo. I Sioux di Luther Standing Bear, traduzione e note, prima edizione 2022.  

-Racconti di Nativi Americani: Infanzia indiana di Charles Eastman, traduzione e note, prima edizione 2023.   

-Racconti di Nativi Americani: Eroi e grandi capi indiani di Charles Eastman, traduzione e note, prima edizione 2023.   

-Racconti di Nativi Americani: La Terra dell’Aquila Maculata di Luther Standing Bear, prima edizione 2023.

-Racconti di Nativi Americani. I cinque di mezzo. Ragazzi indiani a scuola di Francis La Flesche, traduzione e note, prima edizione 2024.  


Per informazioni e contatti scrivere a raf999@libero.it

giovedì 28 ottobre 2010

"Come testimone, io sono responsabile di verità che non vanno taciute"




















Si preannuncia un evento molto seguito il multireportage-conferenza "Scomode verità: solidarietà e riflessione sui popoli indigeni", di Raffaella Milandri, che si terrà ad Ascoli Piceno il 31 ottobre.
"E' un incredibile viaggio che tocca vari popoli indigeni e feroci discriminazioni dei diritti umani nonchè veri e propri genocidi. Per chi partecipa sarà come essere testimone oculare delle mie esperienze in solitaria " dice la Milandri.

Questo incontro con la fotografa umanitaria e attivista per i diritti umani dei popoli indigeni Raffaella Milandri è una piccola rassegna di scomode verità raccolte durante i suoi viaggi in solitaria nelle realtà tribali. Foto, filmati e interviste denunciano situazioni che sono state riportate anche al Commissariato per l’eliminazione delle Discriminazioni Razziali dell’ONU.

Attraverso mezzi di comunicazione e social network la Milandri lancia appelli, raccoglie firme e missive di denuncia da inviare a Presidenti e Ministri di diverse nazioni, tra cui anche Sonia Gandhi.

L'appuntamento, organizzato dal Lions Club Ascoli Piceno Urbs Turrita e in particolare dal Presidente Marisa Cozza.è per il 31 ottobre 2010 ore 17,30 ad Ascoli Piceno, alla Sala Docens in Piazza Roma 6, nell'occasione vi sarà la cerimonia per il conferimento della borsa di Studio "Simona Orlini". Una poesia di Andrea cacciavillani, poeta e scrittore molisano, è stata composta in solidarietà ai popoli indigeni e sarà interpretata dall'artista Edoardo Vecchiola.
L'evento, proprio grazie al suo particolare rilievo umanitario, verrà segnalato dall'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali del Milistero per le Pari Opportunità.

Dagli indiani d'America, agli aborigeni australiani, agli indios amazzonici, ai boscimani del Kalahari, agli adivasi dell'India e tante altre etnie, questi popoli indigeni sono fratelli nel condividere una storia tragicamente simile.

Culture antiche, radicate alle loro terre ancestrali, tradizioni e linguaggi unici patrimonio dell'Umanità. Ogniqualvolta in queste terre, tutt'oggi, viene trovato un giacimento minerario-oro, diamanti, bauxite, carbone- o una risorsa da sfruttare-petrolio, foreste- incomincia la distruzione, la cancellazione, la persecuzione per questi popoli , in nome del "Progresso" .

Durante questo multireportage, tra gli altri popoli, si parlerà in particolare dei boscimani del Kalahari, allontanati con la forza dalle loro terre a causa di miniere di diamanti che, sulla base di un comunicato di ottobre 2010, hanno fatto registrare un surplus di 22 milioni di euro nelle casse del Botswana. " I boscimani rischiano l'estinzione, gli interessi in gioco sono troppo rilevanti" dice la Milandri e aggiunge: "Questo multireportage sarà in programmazione in alcune città italiane e sono disponibile a ulteriori divulgazioni presso scuole e associazioni: come testimone, io sono responsabile di verità che non vanno taciute"

"Solo l'informazione può salvarci" questo è il messaggio semplice e incisivo di Kumti Majhi, un leader tribale dell'Orissa , che è contenuto in un appello divulgato dalla fotografa .

La Milandri, recentemente adottata simbolicamente dalla tribù dei Crow, indiani d'America, organizza i suoi viaggi in solitaria preferibilmente in fuoristrada, ecco il link ad un filmato su Raffaella Milandri :
http://www.youreporter.it/video_Il_lavoro_di_testimone_e_attivista_per_i_diritti_umani_1

sabato 19 settembre 2009

Fotografia umanitaria: perchè

E' stato come ....quando cerchi di mettere insieme vari ingredienti per una nuova ricetta.
Ho amalgamato le mie sensazioni e pulsioni e passioni e ho cercato di trovare la mia strada. Passione per la fotografia, per il viaggio in solitaria, per la gente, per i problemi di culture e Paesi in continua sofferenza. Curiosità innata. Sentimenti forti contro l'ingiustizia. Una parte di me poi ha accumulato una enorme empatia per le popolazioni indigene e tribali. I popoli in pericolo e sofferenza nella loro libertà, cultura, identità: gli aborigeni australiani, i maori neozelandesi, gli eschimesi americani e canadesi, i San sudafricani, i tibetani e tanti altri ancora.
In molti casi esiliati in riserve, dopo stermini, abusi e genocidi.
Ora tragicamente minati da alcol, AIDS, suicidi. Ignorati spesso per potere e denaro: sulle loro terre usurpate petrolio, oro, diamanti, uranio.
Alla fine ho capito che ciò che volevo davvero era fare della fotografia uno strumento di aiuto umanitario. Non riesco a coniugare commerciale ed umanitario: preferisco donare una foto per beneficenza che ricavarne denaro.